Bens culturâi: peraulis vueidis?
O ai ricevût il boletin de Societât Archeologjiche Furlane, che e à sede a Udin in Puarte Vilalte (te foto). Il notiziari si vierç cuntun biel articul di Gian Andrea Cescutti che al fevele dal significât dai Bens culturâi. Par lei l'articul, lait tal prin coment.
1 commento:
sul boletin de Societât archeologjiche furlane di Dicembar 2008
Beni culturali: parole vuote?
Beni culturali: che diavolo sono? Vi si continua a tributare omaggio di parole, ma nella realtà costituiscono l’anello debole nella realtà economica attuale (in verità da sempre, quali che siano i governi nazionali che si sono succeduti e quale il loro colore politico) fino a costituirne la vittima sacrificale. Poche, pochissime le voci autorevoli che si levano in loro difesa. Riprendiamo perciò con particolare piacere, sperando di amplificarle come un’eco, le voci di alcuni illustri cittadini, personalità nel loro campo (giornalismo, storia, archeologia, ecc. e non interessa affatto la loro appartenenza politica), che lanciano l’allarme su quello che si può prefigurare come un autentico disastro. Purtroppo poche, purtroppo sole. Non occorre fare nomi, ciò che scrivono dovrebbe rappresentare il pensiero di tutti, senza distinzione. Quanto segue consideratelo, dunque, virgolettato, perché non è farina del nostro sacco, ma intendiamo farcene portavoce. Cultura, ricerca, beni culturali, patrimonio pubblico, paesaggio sono considerati come altrettanti elementi opzionali dei quali si può fare tranquillamente a meno. I tagli di spesa più drastici sono avvenuti proprio in questi settori non soltanto per eliminare sprechi (che ci sono!) ma per recuperare risorse dirottandole verso altre destinazioni. Non si è considerato che non si tratta di spese ma di investimenti che, proprio per la loro natura, non possono essere interrotti senza causare nocumento e deperimento gravissimo. La totalità di questi beni, la loro salvaguardia e la loro valorizzazione, hanno tra l’altro effetti diretti sull’economia del Paese poiché sono connessi all’industria del turismo che rappresenta una delle risorse maggiori del nostro territorio. Il turismo, dal punto di vista della bilancia commerciale, equivale all’esportazione di beni e servizi, procura entrate di valuta nelle casse dell’erario, ma con una differenza: non escono merci e servizi dal territorio nazionale ma entrano persone e con esse ricchezza e sostegno della domanda interna. Una flessione del turismo comporta una flessione immediata della domanda e della ricchezza prodotta. Fino a poco tempo fa l’alto livello dell’euro verso il dollaro scoraggiava il turismo internazionale verso l’Europa, ma è proprio qui che entrava in gioco la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici di ciascuno dei Paesi europei con spiccata vocazione turistica. In questi anni abbiamo assistito al decadimento del turismo diretto verso l’Italia a vantaggio di quello canalizzato verso la Spagna, la Francia, la Grecia: stessa moneta, dunque stesse difficoltà per i portatori di dollari, ma diversa attrattiva di quei Paesi dovuta alla migliore valorizzazione dei beni culturali ed, assieme, del paesaggio e del territorio che li contengono. Proprio a causa di questa fortissima concorrenza sarebbe necessario ed opportuno investire sulla cultura in tutte le sue articolazioni. Questo però non avviene, anzi sta avvenendo il contrario, frutto di una mentalità che considera i consumi culturali come un fatto opzionale. Si tratta di una mentalità economicamente distorta che va denunciata e combattuta. I beni culturali non sono una realtà astratta, ma qualcosa di reale che è inserito in un territorio che a sua volta ha un ben definito paesaggio. Dunque un tutt’uno inscindibile. Una normativa confusa è da almeno trenta anni fonte di abusi continui che hanno devastato il nostro territorio, disseminandolo di mostri architettonici, lasciando deperire monumenti di importanza mondiale, occultando il mare con una cortina edilizia che ne ha confiscato la visibilità ed il pubblico utilizzo. Questi abusi sono il frutto di inefficienza da parte delle istituzioni di controllo, di scarsissima sensibilità della pubblica opinione, dell’indifferenza dei “media” e, soprattutto, di una normativa che ha disperso i poteri di controllo tra tre diversi ministeri (Beni culturali, Ambiente, Lavori pubblici) e quattro livelli istituzionali: Stato, Regioni, Province, Comuni. Aggiungete a questa dispersione dei poteri di controllo e di programmazione la scarsità delle risorse e capirete le dimensioni di un disastro che ha “mostrificato” l’ambiente e si prepara a peggiorarlo ulteriormente con l’avvento di un federalismo che disperderà fino al limite estremo competenze e saperi.
Esiste una “cultura” senza territorio, senza paesaggio e senza ambiente? Esiste un “territorio” senza cultura, senza paesaggio e senza ambiente? “Esiste un ambiente” senza cultura, senza territorio e senza paesaggio? Esiste un “paesaggio” senza territorio, senza ambiente e senza cultura? Ovviamente, assolutamente no. Da questo quadruplice interrogativo nasce l’esigenza di una politica di tutela e di valorizzazione che sia unificata nei poteri e nelle competenze; tale unificazione non può avvenire che in capo allo Stato, il solo tra i vari Enti istituzionali che sia depositario di una visione generale, che viene inevitabilmente persa di vista man mano che si scende nei livelli locali, da Regione a Provincia a Comune. Ciò che avverrà proprio con il federalismo: ognuno intenderà la cultura, il territorio, l’ambiente, il paesaggio per conto proprio, indipendentemente dagli altri. Questo avverrà se l’opinione pubblica non ne farà un obiettivo prioritario del proprio impegno civile.
Tanto per capirci su questo impegno civile, che dovrebbe essere comune, circa un mesetto fa una onorevole deputata, l’onorevole Carlucci, ha firmato e presentato una proposta di legge che dice che i reperti archeologici successivi al 476 d.C. possano restare di proprietà di chi li detiene, che ne potranno disporre a loro piacimento. Sapete che vuol dire? Che si aprirà la caccia ai reperti archeologici, che i tombaroli saranno legittimati nelle loro azioni e nei loro commerci, che lo Stato potrà anche smettere di svolgere quella giusta e sacrosanta azione di recupero dei nostri beni finiti all’Estero e così via. Quasi nessuno ha parlato di questo fatto, il che la dice lunga sull’impegno civile dei “media” che dovrebbero tenere informata la gente e che dovrebbero giustamente indignarsi.
Come è finita? L’onorevole Carlucci ha protestato dicendo che non era stata lei a firmare quell’atto, ma che qualcuno aveva falsificato la sua firma. Le crediamo. Resta il fatto, tuttavia, che qualcuno, onorevole anch’esso evidentemente, ha firmato una proposta di legge devastante. Quando si dice la tutela dei beni culturali.
Indignatevi, gente, indignatevi e protestate. In qualsiasi modo, protestate.
Gian Andrea Cescutti
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